“Ci vorrà certamente un gesto nuovo, spettacolare e simbolico per scuotere la sonnolenza, scrollare le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini. [...] I manifestanti del 26 maggio hanno ragione di gridare la loro collera. Una legge infame che, una volta votata può sempre essere abrogata. [...] Non basterà organizzare delle gentili manifestazioni di strada per impedirle (le nozze gay, ndr). Bisognerà invece procedere a una vera riforma intellettuale morale”.

Quell’Europa a cui Dominique Venner aveva votato la sua esistenza; prima come combattente in Algeria, poi come militante dell’Oas. Francia colonialista = Europa? L’equazione potrà non piacere alle anime belle terzomondiste, di qualunque colore, ma l’Europa è stata anche quella e i difensori dell’Algerie Française – dove musulmani e cristiani convissero per decenni in pace, prima che la Francia fosse tradita dai suoi stessi figli che armarono la mano dei terroristi del Fln – e anche dell’Indocina francese pensavano non solo alla “grandeur” ma anche all’Europa di cui si sentivano gli ultimi soldati, l’ultima avanguardia.
E lo ricorda anche un bellissimo manifesto a ricordo della battaglia di Dien Bien Phu - con l’immagine d’un soldato francese, morto attaccato ad una croce – dove si leggeva “E’ morto per difendere la nostra libertà”.
Ricordava Dominique Venner che i confini si cominciano a difendere oltre i confini; l’avevano capito gli spagnoli, che conquistando Ceuta e Melilla prevennero le invasioni dal Marocco, e i difensori dell’Algerie Française; infatti, sloggiati gli europei dall’Africa, gli africani hanno cominciato ad invadere l’Europa e la Francia e l’Europa sono diventate dei suk.
Uscito dalla politica attiva Venner si è dato alla storia e i suoi editoriali su “Enquête sur l’histoire” prima e sulla “Nouvelle revue d’histoire”, poi, lasciavano in chi li leggeva dei segni indelebili.
Rimproverava all’Europa di aver perduto quello che lui chiamava “l’orizzonte di guerra” ossia la capacità e la volontà di essere pronta a battersi e di mostrare i denti – senza diventare guerrafondaia.
Rimproverava all’Europa la dottrina dei diritti dell’uomo che l’aveva rammollita ed effemminata e proprio un giorno prima di morire aveva definito “vili” le pratiche del matrimonio e dell’adozione omosessuali.
Ricordava come, ad imitazione delle grandi famiglie aristocratiche – quando l’aristocrazia s’imponeva dei doveri e moriva in battaglia alla testa dei soldati, in prima linea – anche le famiglie contadine organizzavano i matrimoni secondo convenienze ed usi al fine primario di non disperdere e atomizzare la terra che non apparteneva al singolo ma alla famiglia, al retaggio e che doveva rimanere intatta al passaggio delle generazioni – così come la ricchezza dell’antica nobiltà, quella vera e non quella debosciata ritratta dalle attuali riviste patinate, doveva rimanere intatta perché apparteneva al casato e ne garantiva la dignità e la libertà e non al singolo conte che per avventura l’aveva ereditata.
Nel 1995, a proposito dell’inaugurazione della Moschea di Roma, la più grande dell’occidente, che i milieux intellettuali, politici e religiosi avevano applaudito, scriveva “Non ho nulla contro l’Islam che è affare degl’islamici ma so per scienza certa che un popolo che non si getta alla gola di chi, a casa sua, viene a sfidare i suoi déi, è destinato a morte sicura – se non è già morto”.
Rivendicava il passato glorioso dell’Europa – greco e romano – e si sentiva sicuro che la sua millenaria storia ancora riposava nell’animo degli europei che prima o poi si sarebbero comunque risvegliati dal letargo che aveva avvolto le loro coscienze per riprendere in mano il proprio destino.
Per un cristiano è difficile accettare il suicidio – Dominique Venner chiaramente non lo era – ma anche il precristiano – eppur per certi versi cristianissimo – Socrate scelse la morte volontaria pur in presenza della possibilità di fuga; lo fece come testimone di verità.
Dominique Venner – a differenza di Socrate – non era stato condannato a morte; ma era stato condannato a morte il retaggio – culturale, spirituale e di sangue - della “sua” Europa – la “nostra” Europa – ch’egli difendeva dalla sua trincea; e con la peggiore delle morti: quella dell’abbandono, dell’indifferenza, dell’ignavia.
Contro il silenzio assordante imposto da questa codarda e meschina classe politica europea, lui, Dominique Venner, soldato d’Europa ha scelto di morire per testimoniare la verità, ossia il nostro retaggio. Che è una verità obbiettiva fatta di storia: di storie d’imperatori, di papi, di re, di generali, di artisti, di letterati, di scienziati ma anche di contadini, borghesi e uomini comuni che quelle storie, pur nel loro piccolo, come nell’esempio di prima, avevano fatto proprie; e che hanno forgiato quello che siamo e che, come ripeteva Venner, prima o poi riprenderà il sopravvento sulle nostre piccole miserie; ed il suo sacrificio è lì a testimoniarlo e a ricordarcelo.